LO SPECCHIO DI ELISABETTA

tratto dall’omonimo libro di NADIA FUSINI

adattamento, versificazione e cura di ALESSANDRO FABRIZI

 

con

STEFANIA ORSOLA GARELLO

e

ALESSANDRO LIBRIO viola

 

scenografia e costumi

MAURIZIO AMADEI

musica originale 

SANTI PULVIRENTI

 

regia

ALESSANDRO FABRIZI

 

 

 

 

UNO SPECCHIO DA DIRE A VOCE ALTA

Note di regia

Lo Specchio di Elisabetta è, prima di tutto, il titolo di un romanzo di Nadia Fusini, uscito in Italia nel 2001. Un “romanzo” che è insieme récit, affresco storico e confessione di un’anima, nel quale Nadia Fusini declina la propria profonda conoscenza dell’universo shakespeariano alla narrazione della straordinaria vicenda di una donna, anzi, una Regina.

 

Il “romanzo” si apre alla struttura di un play, con due interlocutori principali: Elisabetta e Jack (John Harrington). Un play che spesso fluisce come un monologo, il monologo della Regina, che a Jack racconta, in punta di morte, la sua vita.

 

La stessa Nadia Fusini, consapevole di questo slancio teatrale del suo romanzo, mi chiese un giorno, poco dopo la sua pubblicazione, di curarne un adattamento teatrale. E io l’ho fatto, riducendo il vastissimo materiale, immaginando scene e piccoli eventi ma soprattutto traducendo le parole di Nadia Fusini in versi, precisamente endecasillabi, che io considero l’equivalente del blank verse basato sul pentametro giambico, che è l’andatura in cui parlano più spesso i personaggi di Shakespeare e del teatro elisabettiano.

 

Dal mio lavoro, condotto in fitto dialogo e confronto con Nadia Fusini, è nato quest’altro “Specchio dello Specchio”, uno Specchio di Elisabetta da dire e patire e comunicare ad alta voce, permettendo al respiro e alla voce umana di farne vibrare le corde dolorose e gioiose, di esaltazione e dubbio, di grandezza e miseria.

 

In questo specchio un giorno si è guardata Stefania Orsola Garello, un’attrice e un’anima sensibile, come la più sottile cartina al tornasole. E Stefania generosamente si è lanciata senza rete con me per dar respiro e voce a quelle parole. Dal mio testo è nato qualcosa che sta fra il reading e il teatro, tra il monologo e la mise en espace con musiche, tra il soliloquio e il dialogo con un uomo che ascolta (Jack)… ma in queste inquiete coordinate credo risuoni la voce di Elisabetta come Fusini l’ha intesa, e questo oscillare delle forme sembra a me già pienamente teatro.

Alessandro Fabrizi

 

È vecchia la Regina Elisabetta,

l’incalza il tempo, la tormenta il male.

La lunga e sacra mano che ha retto

Lo scettro e l’orbe, è un artiglio ormai…

 

Gli ultimi giorni di una donna eccezionale, Elisabetta I d’Inghilterra,

la sua agonia richiama fantasmi e momenti privati.

Una donna, una regina, un’isola e il suo popolo amante.

Dignità e disperazione, humor sagace.

Un viaggio doloroso nel silenzio affollato di un’anima caparbia e delicata al tempo.

****

È stanca la Regina Elisabetta. E il tempo la incalza, veloce, la fine si avvicina…

A un certo punto dice: fate venite a corte sir John Harrington.

E a lui la Regina racconta, racconta…

“Io ero ingorda di felicità. La sera avrei voluto che qualcuno mi posasse la sua testa in grembo, rimanendo così, ad occhi chiusi, come dormendo. Dudley, Robin, Hatton, Raleigh, Essex… Io con la mano in mezzo ai suoi capelli, i suoi capelli folti e setosi… Momenti vuoti. Mi sembrava… A volte mi sembrava di cadere, di sprofondare in laghi di dolcezza che avevo dentro di me. Io ero un Re, io non potevo. Godere appieno dell’intimità. Io Re di un’isola. Sola. Dispari. Non accoppiata…”

Articoli

Comments are closed.

X