SILVIO ORLANDO
in
QUESTI FANTASMI!
di EDUARDO DE FILIPPO
Le anime interpreti
Pasquale Lojacono, anima in pena Silvio Orlando
Maria, sua moglie, anima perduta Maria Laura Rondinini
Alfredo Marigliano, anima irrequieta Francesco Procopio
Armida, sua moglie, anima triste Daniela Marazita
Silvia, sua figlia, anima innocente Francesca Ponzio
Arturo, suo figlio, anima innocente Mariano Giamè
Raffaele, portiere, anima nera Tonino Taiuti
Carmela, sua sorella, anima dannata Mimma Lovoi
Gastone Califano, anima libera Lello Radice
Saverio Califano, anima inutile Carlo Di Maio
Maddalena, sua moglie, anima inutile Cinzia Virguti
I° facchino, anima condannata Carlo Di Maio
2° facchino, anima condannata Sandro Amatucci
prof. Santanna, anima utile (ma non compare mai)
scene e costumi
BRUNO BUONINCONTRI
musiche
PASQUALE SCIALO’
luci
CESARE ACCETTA
foto di scena
ORESTE LANZETTA
regia
ARMANDO PUGLIESE
Lo spettacolo ha debuttato il 16 ottobre 2004 al Teatro D’Annunzio di Latina
Note di regia
Questi fantasmi!, uno dei più famosi testi di Eduardo, etc.,etc.
Mi viene da pensare:
Questo testo ebbi il piacere di metterlo in scena per Luca De Filippo e la sua compagnia alcuni anni fa e, se la memoria non mi inganna, lo spettacolo andò molto bene.
Ovviamente spero che vada ugualmente bene anche questa realizzazione con Silvio Orlando protagonista.
Molto mi concentrai sulla casa degli spiriti a quel tempo, e sul rapporto dei personaggi con quella casa molto mi concentrai sulle influenze scarpettiane e su quelle pirandelliane nella stesura eduardiana di uno dei suoi primi capolavori del dopoguerra, eppure…
Eppure qualcosa sicuramente doveva mancare, forse per la mia non sufficiente sostanziosa esperienza teatrale o umana.
Certo il gioco in bilico tra apparenza e realtà tra finzione e verità, che pervade tutto il lavoro è ciò che cercai di evidenziare, ma i piatti della bilancia forse pendevano un po’ troppo a favore dell’ingenuità del nostro Pasquale Lojacono.
Oggi mi chiedo: ma tutto il distinguo tra “fesso” e “furbo” così caro ai miei concittadini, quel distinguo che quasi sempre tralascia la considerazione che oltre a quelle due condizioni possa esisterne una terza, l’intelligenza, l’avrò sottolineato a dovere? E riuscirò oggi a far capire che sostanzialmente di questa pasta è il nostro protagonista, perché così lo ha voluto l’autore, con le sue disperazioni e le sue esaltazioni, in una partita in cui mette in ballo il valore stesso della sua esistenza?
Speriamo di sì, così come speriamo di far almeno intuire che aldilà del gioco dei fantasmi, aldilà dello svilupparsi degli interessi o degli appetiti o delle necessità dei nostri personaggi maschili, chiaro, anche se in forme diverse, fa risultare, l’autore, vero dramma quello delle donne.
Quello di Maria, donna inquieta e sballottata tra opposti sentimenti, che quando finalmente intravede la salvezza, se la vede sfumare sotto il naso.
Quello di Carmela, sorella del portiere rimasta scema… dopo una sortita in terrazza, magari per uno scherzo di dubbio gusto del nostro dirimpettaio, il professor Santanna.
Quello di Armida, la moglie tradita, che si ritrova abbandonata dal marito a gestire in una campagna sperduta i due “muorbidi”, come essa stessa definisce i suoi due figli…
…e finanche quello della defunta moglie del portiere, che forse perse la vita proprio a causa degli amorosi schiaffoni che l’uomo si era abituato a somministrarle per ammansirla o per “farla parlare”.
Già, perché aldilà delle incredibili trovate comiche e delle paradossali situazioni grottesche, proprio di dramma stiamo parlando, con tutti i suoi risvolti amari, compreso quel “…è probabile…speriamo” che lo chiude, foriero di altri drammi a venire…
Armando Pugliese
La scenografia
Prospettive che cambiano, punti di vista che si spostano, spazi in movimento, percorsi che mutano. Come una steadycam seguo la vicenda che si snoda attraverso un alternarsi di pieni e di vuoti, cerco di consegnare il movimento allo spettatore e lo conduco a visitare uno spazio che altrimenti sarebbe immobile e offrirebbe monotonamente sempre la stessa faccia. Cerco un naturalismo vivo e dinamico fatto di sensazioni e di verità sognate. Voglio dare l’illusione che fuori dallo spazio scenico viva un altro spazio ed un altro ancora. Varco i limiti del non visto per comunicare la sensazione che qualcosa esista anche al di là della nostra stessa immaginazione. Chissà, forse è lo stesso stato d’animo del protagonista, forse è una “soggettiva”, che vede quell’appartamento con i suoi stessi occhi aperti al possibile e all’impossibile.
Bruno Buonincontri
Le musiche
Presenze reali e immaginarie si agitano tra le stanze di un antico palazzo napoletano.
Come in un tragicomico valzer esistenziale ci si può imbattere anche con presenze immateriali di rumori, suoni, musiche. Ora dal tono burlesco, quasi a sottolineare lo scarto tra finzione e realtà. Ora dal tono struggente per cogliere il doppio volto di un disagio: quello economico e quello della propria precaria condizione privata.
Così questi fantasmi qualche volta si fanno anche sentire!
Pasquale Scialò
L’inquilino del trentaseiesimo piano. (trentaseiesimo giorno di prove)
Nel mio camerino funzionano due lampadine su sei, la luce centrale no. C’è una tenda che non si riesce proprio a chiudere: chi passasse ora per la strada potrebbe vedermi in mutande, ma non passa nessuno da parecchio…e sono felice!
Sì, proprio felice, non una cosa che ci assomiglia, la felicità fatta di serenità, elettricità, consapevolezza, voglia di andare in scena.
Le prove sono un meraviglioso, faticoso processo creativo ma sono anche un processo, un processo in piena regola. Mai come nel nostro caso questo è avvenuto: ogni personaggio è stato messo alla sbarra. Armando Pugliese P.M., noi attori avvocati difensori. Armando, immarcescibile anarchico-libertario-reazionario, vedeva nelle pieghe più oscure, più inconfessabili, sordide con furia apocalittica: più forte era la luce, più lunga l’ombra marcia che proiettava.
Anche io, perfido buonista, mi sono trovato a difenderlo, questo povero farabutto di Pasquale Lojacono. Ed in effetti nel meccanismo perverso, costruito da Eduardo, tutto appare semplice, lineare, addirittura disarmante: gli vuole bene lui al suo inquilino che ha abbandonato i mezzanini appena poco più luminosi degli assida cui si sente attirato, giù, sempre più giù, vertiginosamente.
Tutto troppo semplice, troppo lineare “troppo” appunto.
Pasquale Lojacono è soprattutto un mistero alle prese con un mistero più grande del suo. Alle prese con la vita che ti fa male e ti prende pure in giro. Alle prese con la paura di non farcela, di rimanere solo, di non riuscire a tenere insieme i brandelli di questa coppia crepata, sterile (anche questo è un elemento di grande modernità: l’assenza di figli, forse casuale, ma non in teatro si sa che il caso non esiste). Eduardo credo voglia bene alla sua tempra alla sua capacità di resistere senza mai voltarsi dall’altra parte, stando lì, eroicamente, senza scappare. Il sud, ha detto qualcuno, è un paradiso abitato da diavoli: l’armonia da queste parti è una conquista più faticosa, più dolorosa che altrove. Uno degli errori fatali di Lojacono è quello di pensare che forse la si può raggiungere accumulando beni, roba bella. E questa è, secondo me, l’intuizione più folgorante di questo capolavoro eduardiano: che quello che ci avrebbe perso non sarebbe stata la fame, così devastante quando l’opera è stata scritta, ma la fame senza appetito che avrebbe devastato le nostre menti di lì a poco, che ci avrebbe resi così infelici senza sapere il perché.
P.S. Tre grazie per chiudere: il primo a Luca che mi ha regalato la gioia di cui parlavo all’inizio. Il secondo ad Armando che mi ha restituito il senso del lavoro attore-regista, che mi mancava ormai da un po’. Il terzo a Carlo, Daniela, Francesca, Francesco, Lello, Maria Laura, Mimma, a Sandro, Mariano, Gianfranco, Francesca, Cinzia, Tommaso ed al mio amico e vecchio compagno Taiuti, che mi ha riconsegnate, intatte, la freschezza, la curiosità, la passione dei primi anni vissuti insieme in teatro e non solo.
Silvio Orlando
Articoli
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